Se vogliamo inquadrare il contesto culturale a cui sembra collegarsi lo stile fotografico di Arrigo Giovannini dobbiamo risalire alla fine degli anni 80 del diciannovesimo secolo, quando nell’ambito della fotografia si delineano due tendenze distinte: la fotografia artistica accademica, che si confrontava direttamente con la pittura, e la fotografia naturalistica, basata sull’osservazione della natura, seppure filtrata dall’interpretazione visiva del fotografo, di cui Peter Henry Emerson è il principale esponente. Dalla dialettica tra queste due tendenze nascerà, negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il Pittoricismo, corrente che rivendicando alla fotografia una peculiare forma di linguaggio artistico, indipendente dalla pittura, sposterà l’attenzione dello spettatore dal soggetto alla tecnica utilizzata per la realizzazione dell’immagine. Questo è il background culturale che è alle spalle dell’esperienza artistica di Giovannini, che sceglie i suoi soggetti dal mondo naturale, depurando le sue vedute da qualsiasi elemento che sia discordante con la propria idea del bello. Idea prima di tutto culturale, sostanziata del patrimonio iconografico dell’arte figurativa occidentale dal Rinascimento in poi. Gli equilibri di forme sono sempre rispondenti a schemi geometrici che ripropongono l’equilibrio classico di tanta pittura rinascimentale. Le delicate armonie coloristiche sottintendono l’esperienza dei maestri dell’impressionismo, la nebbia che ammanta la vetta di una montagna e si vaporizza sulle pendici erbose ha dietro di sé lo sfumato delle fotografie alla gomma bicromatata di Heinrich Kuhn che trascorrono verso le suggestioni del Simbolismo pittorico. Una cultura profonda, sostanziata di tante immagini metabolizzate e riportate a nuova vita attraverso una molteplicità di scatti che diventano emozioni. Ma a differenza dei maestri del Pittorialismo Arrigo Giovannini non vuole usare mezzi tecnici che snaturino la realtà dell’immagine. In questo Giovannini è un purista che non ammette l’uso di filtri (ad eccezione del polarizzatore) e altri artifici: può essere paragonato ad un pescatore che, più per l’amore della natura e dell’acqua che per il desiderio di cattura, trascorra ore e ore sulla riva di un fiume in attesa che il pesce giusto abbocchi all’amo. Giovannini, vero pescatore di immagini, attende paziente che la nebbia discenda lentamente fino al punto giusto per scattare la sua fotografia, che la luce del sole doni al paesaggio le sfumature che ha negli occhi e nella mente. Solo allora cattura l’immagine, reale, ma anche assolutamente ideale, di cui era alla ricerca. Le fotografie di Giovannini esistono già tutte nella sua mente, nel suo gusto artistico e quando per caso o per fortuna le ritrova nel paesaggio intorno a sé vengono a diventare reali fermando in uno scatto un momento di bellezza forse irripetibile. Guardando le immagini di questo libro stentiamo a credere che l’ambiente ritratto da Giovannini esista veramente, che il suo mondo sia anche il nostro, soprattutto se guardiamo all’ ambiente quotidiano, un ambiente cementificato, inquinato, antropizzato, dove le esigenze del bello hanno lasciato da tempo luogo alla logica del guadagno e del consumo.
Montagne, fiumi, giardini o campagne, ristrette aree naturali, rimaste uniche depositarie di una bellezza in via di estinzione, vengono per così dire conservate e musealizzate dai fotogrammi di Giovannini creando una sorta di galleria di immagini che donano conforto e ristoro ai nostri occhi.
Barbara Tamburini Franchini