La fotografia ha da tempo mollato gli ormeggi, avventurandosi in un vasto territorio dove sono ammesse sperimentazioni che si allontanano sempre più dalla semplice capacità di registrare il dato, di descriverlo, afferrarlo e poi restituirlo allo spettatore.
Guardando i paesaggi nebbiosi di Arrigo Giovannini le immediate riflessioni non sono quindi rivolte alla dimensione spazio-temporale, ma volgono più a quella intima ed emotiva della narrazione.
Sono spazi disadorni, “nudi e crudi” come se ci fosse l’intento da parte dell’autore di eliminare ogni elemento idilliaco e lasciare parlare i boschi innevati, la foschia sull’acqua, la nebbia notturna e tutta la desolazione che vi si cela; ma la sensazione di solitudine che incombe non appare negativa come quella dell’abbandono, piuttosto è quella di una serenità interiore dove la mente è libera di vagare tra mille pensieri, una sorta di introspezione dell’anima.
Giovannini in questa serie di foto non è certo interessato a documentare, quindi sfugge dai dati oggettivi del paesaggio per tentare di trasformarlo nella propria visione personale, a cercare la luce nell’ombra proprio perché la vaghezza e l’indefinito affascinano molto più della mera razionalità.
La scelta della nebbia come elemento tecnico, quasi un bianco e nero donato dalla natura, con pochi sprazzi di colore dati dal verde dell’erba o il rosso della barca a riva, permette di distaccarsi dalla realtà e di porsi da un punto di vista diverso e più introspettivo; è una scatola naturale che disperde e diffonde le fonti di luce, enfatizza le forme donando al tutto un aspetto lattiginoso e velato perché minimizza i dettagli sino a ridurli semplici silhouette.
Giovannini ha fatto della nebbia una compagna di viaggio che ha imparato a conoscere, a riconoscere, ad amare perchè permette di ottenere risultati straordinari, i soggetti acquistano un alone magico e tutto lo scatto si immerge in una atmosfera fantastica che ottunde i sensi, attutisce i suoni, sfuma i contorni delle cose. L’impossibilità di vedere oltre può essere vissuta come disagio, ma può anche essere un’immagine del nucleo informe da cui ogni cosa può manifestarsi.
Non è difficile imbattersi in una scena che abbia questo magico potere di trasmettere delle sensazioni di calma e serenità. Pensiamo alla luce calda ed alla neve fredda della campagna, al silenzio di una strada, la foto deve la sua efficacia al momento in cui è stata scattata, perché anche lo scenario più semplice può offrire una composizione suggestiva; lo si vede ancora quando riprendendo una barca abbandonata sul fiume la luce si infrange sulle assi rovinate dal tempo e come la impalpabilità della nebbia ed il ponte ferrato si diano appuntamento correndo verso il medesimo punto sfuggente all’orizzonte. Luoghi anche se privati della figura umana che si percepiscono come “abitati”; nulla sembra lasciato alla sola natura.
Ciò che si vede e ciò che è rimasto fuori dall’inquadratura hanno lo stesso valore, perché ciò che non si vede viene suggerito ed evocato dalla immagine creata. Una finezza della visione, un istinto tipico di Arrigo Giovannini che lo spinge verso ciò che la scena possiede di più significativo.
Basta poco per rischiare di cadere in lavori slavati, piatti, tristi.
Ma questo non accade all’autore poiché una delle cose che induce chi guarda le sue foto a guardarle di nuovo per la sensazione di un qualcosa che sembra sfuggire è il sottilissimo filo narrativo fatto di indovinate e fulminee connessioni fra situazioni casuali ed impianto scenico costruito ad arte. Spontaneità e progettazione, esperienza e creatività.
Ad un primo sguardo potrebbero apparire foto ordinarie che attraggono senza alcuna logica apparente; in realtà è la caratteristica che conferisce spessore artistico all’immagine: riuscire a suscitare emozione senza l’apporto di nessuna spiegazione.
E’ questo il vero linguaggio che emerge dalle sue immagini, un linguaggio fatto di leggerezza quando entra in gioco solo l’occhio del fotografo, la capacità di osservare e di meravigliarsi, l’intuito che durante il “viaggio” per immagini lo conduce verso l’istantanea decisiva, quella che resiste nel tempo e che tocca le corde della nostra memoria.
 
                                                                            Lorena Corradini
 
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