Fiume PO

Grandi distese di rena grigiastra e granulosa svelano a perdita d’occhio residui sminuzzati di terre lontane, trascinati dall’acqua di un fiume ora esangue.
Tronchi sbiancati dal sole e lisciati dall’acqua giacciono immobili là dove l’ultima onda li ha abbandonati.  Sotto le rive orlate dai pioppi, strisce di limo seccato ricordano altre acque, altre stagioni, altri colori. Al centro del grande letto abbandonato dal fiume scorrono poche e lente acque metalliche.
Dove è finito il grande, maestoso fiume che ha creato nei millenni la nostra terra?
Dov’è la impetuosa distesa d’acque ribollenti che con le sue piene terribili ha devastato in passato le terre faticosamente coltivate dalle genti di fiume?
Chi vive a contatto del Po conosce i ciclici mutamenti che accompagnano stagione dopo stagione il fluire delle sue acque: dalle piene primaverili e autunnali alle secche estive, dal biancore freddo della neve che ricama i suoi disegni sulle acque e sulle piante dei rivali al tenero verdeggiare delle prime gemme che  si schiudono, dal sole che sbianca le sabbie e i colori alla luce livida e brillante dei temporali incombenti, alle sinfonie dei colori autunnali che si rispecchiano nelle lente acque.
Chi conosce tutto questo ritrova il grande fiume solo nella memoria del proprio vissuto, ma chi, capitando casualmente in una secca e calda estate sulle rive del più grande fiume italiano, vede per la prima volta il grande letto svuotato, le misere acque superstiti al centro, ha la sconcertante impressione che quello non sia il Po, che sia altrove.
Le immagini di Arrigo Giovannini, innamorato conoscitore e poeta del Po, veicolo di una memoria visiva atemporale e sincronica, che annulla la cadenza dei cicli stagionali, dove rivivono diversi momenti, diversi colori, diverse acque, vengono in aiuto anche a chi conosce il Fiume.
La memoria visiva si fa concreta e diventa fotografia immediatamente disponibile a tutti .
Le inquietudini di oggi (causate dall’intervento rapinoso degli uomini sul fiume e dal clima planetario che cambia irreversibilmente, danneggiando con violenza colture e insediamenti) visitando l’esposizione, diventano pure emozioni, si fanno poesia.
 

Barbara Tamburini Franchini

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